Il vento della follia

Sono rimasto a Golubac, con Anna e Leon, per sette giorni. Sono stati sette giorni di vento e di bellezza. Golubac è un piccolo paradiso.

Piccolo paese, circa 2.000 abitanti, ed il Danubio che si allarga fino a formare un lago largo quasi 7 km e lungo 10. Questo è il risultato della costruzione della chiusa Derdap, o Portile de Fier o Iron Gate o Eiser Tor. In italiano, “Porte di ferro”. Una volta qui il fiume era davvero duro: rocce, corrente folle e paura. Ora non più

Quando chiudi una gola l’acqua sale e così con 32 metri d’acqua in più si forma questo lago. Certo non è buono per l’ecosistema, ma siccome non tutto il male viene per nuocere ecco che la navigazione si semplifica. Si crea energia e i velisti arrivano.

Qui ne incontriamo di straordinari, come 5 ragazzini della squadra nazionale serba di classe Optimist, forse la barca a vela più semplice e geniale della storia. Questi campioncini mi fanno sentire un incapace. Per ben tre volte tento di passare la strettoia del castello dove la Koshava aumenta fino a 30 nodi (circa 60 km/h) e le onde che crea contro la corrente sono esattamente quelle che Clodia teme di più. Corte e ripide.


Potrei passare ma preferisco non forzare e non rischiare danni. Anche perché dopo le gole non sono uno scherzo e anche lì il vento sarebbe contrario. I ragazzini vanno “lì” ad allenarsi, proprio dove io torno indietro. È vero che i loro Optimist di fibra di vetro sono praticamente indistruttibili e c’è l’allenatore a tirarli fuori dai guai con il suo super gommone, ma mi sento un incapace.

Sono triste anche perche ritento due volte dato che il ministro dell’ambiente rumeno e molti giornalisti mi aspettano dall’altra sponda spostandosi addirittura di 20 km a monte per facilitarmi. Ma niente.

Mi consolo al piccolo ed ottimo ristorante dove conosco Goran, che parla inglese ed è gentilissimo. Mi regala anche uno Zippo. Con lui parlo della vita e sono felice. Il vento molla la sera ma poi riprende nella notte.

La bellezza di Golubac per me è nell’assenza completa di turismo, cosa che di certo non rende felici gli abitanti che lamentano assenza di opportunità. Il territorio offre tutto tranne mare, deserto e ghiacciai. A Golubac incontro come sempre molte persone interessanti, come Dragan che filma come pochi l’essenza di Clodia e del viaggio. Ha una sensibilità non comune e in comune lavora. È anche videomaker e fotografo freelance.

Ogni mattina alle sette lo vedo arrivare per riprendere qualche dettaglio in più. Per tre volte mi segue nel tentativo di ripartire e passare il forte, che è molto bello, sentinella alle gole. La strada passa sotto un arco nella roccia e i camion si portano via qualche pezzo.

Un bel giorno di vento, tanto per cambiare, vedo arrivare un kayak con due persone che decidono di fermarsi. Vado ad accoglierli. Sono Thomas ed Elly, giovani, Germania e Kazakistan.

Stanno effettuando un viaggio chiamato Driftaway che prevede una sorta di triatlon mondiale: discesa del Danubio, trekking in Indonesia e ciclismo nelle due isole della Nuova Zelanda. Subito vedo in loro due giovani talenti e condivido quasi tutto quello che provano e fanno. Passeremo insieme diversi giorni e ancora cercherò di averli come amici e compagni nei prossimi progetti.

Passeggio, scrivo, parlo, riposo, faccio foto, esco a vela con Leon, cazzeggio con Dragan. Cazzeggio attivo e costruttivo. Progetti, domande, acquisisco informazioni. Cerco di non sprecare questi giorni preziosi. Mi piacerebbe venire qui a scrivere il libro. Silenzio. Ho bisogno di silenzio. C’è troppo rumore nel mondo. Qui a Golubac la gente parla piano. Mi piace.

Mi rendo conto parlando con le persone che loro amano raccontare. A volte mi metto nei loro panni. Se avessi uno che arriva da Londra a remi lo tempesterei di domande. Ma qui no. Mi raccontano del loro placido vivere. Del bello e della noia. Alla fine mi sto rendendo conto che a pochi interessa quello che sto facendo. A pochi veramente. Da un lato mi mortifica considerando che lo faccio con un profondo desiderio di aprire spiragli di conoscenza, dall’altro mi rende più felice. Posso ascoltare le cose che mi raccontano gli altri senza che lo debba chiedere. E imparo.

I giorni passano e la Koshava non cessa. Poi arriva il giorno. Tutto sembra perfetto ma là fuori, vicino al forte, le cose sono diverse. Forse peggio degli altri giorni.

Un’onda entra in Clodia. Poca roba ma temo per l’albero. Thomas ed Elly possono passare perché non hanno appendici in alto. E le onde sono ancora maneggevoli. Per Clodia no. Non troppo alte, 1 metro al massimo ma estremamente ripide e dure.

Tanto per darvi una idea di quanto possa essere duro il fiume, ci racconta il capitano Florian che una chiatta di 3.000 tonnellate e 110 metri in una tempesta dura ha preso un’onda di tre metri e si è spezzata a metà, colando a picco con i membri dell’equipaggio. Torno al porto delizioso e protetto.

Ma alla sera il vento cala e decido di riprovare. Bolina larga e passo sotto il forte. Suggestivo. Impressionante. Dopo, il vento rinforza ancora poi cala. Tramonto glorioso. Siamo nelle gole. Universo di pietra e selvaggio ambiente.

La corrente aumenta. Dopo 10 km inizia a far buio e troviamo una spiaggetta dove passiamo la notte in compagnia di zanzare, vento e onde. L’ultima alle 4:00 mi entra in barca e con il culo bagnato decido di ripartire. Fa freddo, il vento è forte e mi rallenta perciò tolgo i due alberi. Meno male che la corrente mi aiuta, ma se smetto di remare torno indietro.

Poi dopo tre ore il vento si calma e le gole si aprono in un trionfo di verde e rocce. Alle 9 la Koshava riprende violenta. Cerco riparo verso riva dove il vento è meno violento e avanzo lento.

Ad un certo punto vedo un pontile e chiedo ad un pescatore dalla faccia simpatica se posso riposare un po’. Mi dice di si. Scendo e conosco Vlatko, in vacanza: la sua casa è bella ed è una casa di villeggiatura di un istituto. Passo un’ora in pace, con tè verde e biscotti.

Il vento sembra calmarsi e riparto. Passata la curva durissima dove le rovine di un forte di Tiberio ancora sopravvivono sospese su pilastri di cemento, la gola diventa selvaggia ancora di più con passaggi sotto falesie di 100 metri a picco. Che tuffi. E sotto ancora la strada romana.

Ci sono vortici impressionanti. In un punto la profondità tocca i 90 metri. Il fiume qui può far paura, a me va bene.

Soffro per il vento contrario ma vado lo stesso. Poi verso i 1.000 km affronto una bolina selvaggia con botte che scuotono Clodia. Che resiste.

Mi fermo ed accosto a Serena, che fa fatica anche lei, condotta sempre meglio da capitan Leon, che ormai è un lupo di fiume. Festeggiamo la tappa dei 1.000 km al mar Nero con una slibovitza.

Poi via ancora di bolina dura su un fiume corto e ripido. Compare una lancia della polizia serba che ci segue. Milanovac mi attende ma gli ultimi 10 km sono sotto un sole potente e proprio nell’altro tempio della vela del Danubio (con Golubac) il vento mi molla di colpo. Riesco solo alla fine a sfruttare gli ultimi refoli. Il marina di Donji Milanovac è bello ma non protetto. Ballerò tutta la notte.

Sono esausto, 57 km contro vento, con rocce, vortici e correnti che portano dritti a scogli. Ora con un po’ di attenzione non ci sono veri pericoli. Penso a cosa doveva essere prima della costruzione delle Iron Gates. Un inferno!

Già i Romani avevano costruito un canale di tre km per evitare le rocce e la corrente a 26 km/h della gola nei periodi di piena. A Milanovac il poliziotto della vedetta, allegro, ci abbraccia e bacia. Non si paga nulla. Bellissimo qui. Sembra di essere in Norvegia. Ma ci sono 40 gradi.

Al mattino chi ti ritrovo? Thomas ed Elly. Appena uscito dalla tenda vedo il loro kayak. Mi hanno aspettato.

Oggi si riparte per la gola di Kazan. Il terrore del Danubio appunto, ma nel passato. Incontro Alexander e Marjia nella sede del Derdap Natural Park. Grandi racconti della bellezza, grande parco naturale in uno dei paesaggi piu belli del mondo. Tornerò.

A Lepenski Vir si può vedere l’insediamento umano più antico d’Europa. Risale all’8.000 AC ma si sono trovate tracce risalenti al 20.000. La scultura della donna pesce la dice lunga sul legame tra antiche civiltà ed il fiume, l’acqua.

Ripartiamo verso mezzogiorno. Poi solo bellezza. Le gole si in alzano, fino ad 800 mt. E 90 sotto di me. Nel lago di Mali Kazan, davanti alla grande e barbuta scultura gigante di Decebal, re dei Daci sconfitto da Traiano e ad una folle chiesa Ortodossa, prepariamo il campo. Thomas cucina le palacinke sul fuoco: fantastiche. Elly le farcisce.

Alle 5 via verso la prima delle due chiuse. Ancora paesaggi sublimi. Omaggio ai morti per la strada di Traiano, sotto la Tabula Traiana corrosa dal fuoco dei pescatori che ci friggevano il pesce sotto i bassorileivi.

Porta di ferro 1: Terrore di Leon ma tutto bene. Per il troppo vento, in poppa ora, vado da solo con Elly e Thomas sale con Leon ed Anna. Tutto benissimo e senza attesa. Da soli in questa piscina di 310 mt. Le due camere gigantesche, per totali 32 mt di salto, vengono passate in un’ora di tranquillità. Elly è fantastica. E Thomas anche. Mi prepara un portafoglio da un cartone di latte. Super dobro.

Arriviamo a Kladovo sotto un sole cocente. Dal vecchio forte arrivano melodie balcaniche. Neanche il tempo di ormeggiare e vediamo un tipo con mega occhiali che si sbraccia e ci offre gratis i suoi due ormeggi.

È Miletin, ex star dell’hockey su ghiaccio e persona molto conosciuta. Matto come un cavallo ma generoso come solo i matti sanno essere. Ci porta subito in macchina alla polizia di frontiera per risolvere il nostro piccolo grande problema. Siamo in ritardo di 7 gg sul giorno di uscita dalla Serbia.

Terrorizzando i ragazzi a bordo della sua fiammante volvo 4×4 (che guida come fosse un carro armato: non conosce ostacoli), attraversando campi a mille all’ora, musica a palla… Sembra una scena di Gatto nero Gatto bianco di Kusturica. Ma io ci sguazzo dentro e, dopo un pranzo balcanico, finisco a bere in un night club pomeridiano con la vita folle di Miletin. Lacrime e cuore, ad alta velocita. Impossibile da narrare ma credetemi, è vera quanto folle.

La sera Miletin ci porta ai suoi laghi dorati, villaggi dove l’ospite è sacro. Mi ricordo la mia infanzia. Spritzer (spritz) veri, non quella putrida e cheap bevanda servita cara a Venezia e ormai così famosa nel mondo. Lo spritz è acqua e vino. Bevanda semplice e sincera. E gente vera. Polvere e Dunav. Donne col velo e ramarri. E anche tamarri. E vipere ubriache. Potrei sedere qui sullo stradino/stradone su questa sedia di paglia con cuscino liso per sempre.

Come sempre qualcuno rompe in città e ci attende la grande presa per il culo degli undici milionari che tirano calci alla palla. Coi soldi dei poveracci. Vabbè, Miletin è ora ciucco senza esserlo. Regge bene. Io da piemontese sono vaccinato a qualsiasi quantità di alcol, da reggere con rigorosa sobrietà. I 160 allora su strade non proprio libere sembrano la norma a questi stadi e la paura non si sente più. A morire poi si risparmierebbero un sacco di soldi. E rompiballe. A Kladovo nel ristorante Natura del poliglotta bell’uomo amico di Miletin, cacciatore e giramondo, vediamo non mi ricordo più che partita. E mangio così bene che mi sembra pure bello il calcio. Mi sembra bello tutto.

Cosa penso in questi giorni? Che sul fiume c’è tutto e che i fiumi sono fatti di acqua ma la gente lungo i fiumi beve tutto fuorché acqua. E poi penso che i mari sono fatti di fiumi.

Miletin: un Hvala grande come il tuo cuore.
Le mie scarpe a forza di camminare sull’acqua hanno i buchi

Be water my friends.

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4 Responses to “Il vento della follia”

  1. mariobios scrive:

    Sempre più bello questo tuo viaggio,Giacomo,sempre più fini e profonde le sensazioni…
    Cin-cin !

  2. Giacomo scrive:

    Grazie Mario, le tue parole mi fanno molto piacere; ma quando vieni?? Vieni vero?

  3. mariobios scrive:

    No,il vento della follia mi prende,ma sono ormai in carrozzina.
    Ho dato,sopratutto RICEVUTO.
    Tu vai avanti,finchè stanco e felice di amore ricevuto non riconoscerai la tua baia,dove calare il tuo ferro.
    Un abbraccio.

  4. Giacomo scrive:

    Ma come sei in carrozzina? Carrozzina o carrozza?
    Ne parliamo presto?
    Le tue parole mi fanno piangere.
    Grazie
    Un abbraccio

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