I casi della vita

Cernavoda: acqua nera. Già avamposto romano, poi tristemente famosa per il canale della morte, fino a Costanza. Uno dei tanti, fatto scavare da Ceausescu per risparmiare i 300 km di Danubio che sale a nord per poi deviare a sud est verso il Mar Nero. Cernavoda-Cernobyl stessa radice nera. Anche a Cernavoda c’è una centrale nucleare.

Con tutta questa energia ci mancava il nucleare?

Al bar bollente ci sono una cameriera pelosa e uomini che mostrano con orgoglio la pancia: un luogo talmente brutto da far quasi tenerezza. Solo i cani randagi portano un po’ di grazia in questo piazzale assolato e di cemento polveroso con tamarri che accelerano e frenano rumorosamente. Dei gusti non conviene discutere. Io ho i miei e loro i loro. Non li giudico ma questo posto mi fa davvero cagare.

Spero solo di andarmene al più presto. E pensare che un gentile signore ci indica dove ormeggiare, e un altrettanto gentile signore, Rado, un vichingo che ha scelto questo non-luogo per vivere su una chiatta, ci concede di ormeggiare la barca.

Ma che ci faccio io qui? Primo c’è qui sotto il Danubio e qui ci sono arrivato tra colpi di remi, vento e per ultimo il passaggio dal capitano Florian. A proposito ho, abbiamo fatto 4200 km da Wargrave, nell’aprile 2010.

E poi qui tra un po’ arrivano Nicola e Tommaso. Nell’attesa di 4 ore e mezza guardo le chiatte che manovrano. Ed il più vecchio ponte in ferro del Danubio, 1895. E i peli della donna pelosa, e le pance degli uomini panciuti.

Non visito la città. Magari è bella. Con questo caldo non ce la faccio. No.

Arrivano i due e si parte. Sono leggeri e questo mi fa piacere. Leggeri di bagaglio e di vita. Hanno testa e sensibilità. Nicola è stato parte integrale del progetto ed è grazie a lui se la barca è stata costruita in Lago. Lui e Nicola Baggio, che me lo ha presentato. Poi tutti gli altri hanno messo altrettanto. Ma dopo. Con lui e l’altro Nicola ho un grosso debito di riconoscenza. Tommaso lo conosco da poco, è un amplificatore culturale. Amplifica. Progetti, idee. L’intelletto pensa ma non sa parlare a voce alta.

Insieme ad altri amici hanno fondato Sharazad. Bel laboratorio e fucina di idee. E fatti. Res non verba.

Si parte e subito il tattico Tommaso, che è anche stato campione mondiale in qualche classe velica che non ricordo, trova subito il modo di fare km con le vele, dove io probabilmente userei i remi. Si va ed i paesaggi si fanno belli. Colline, falesie, fino ad un tramonto verde e blu e rosso.

Vedo fango dappertutto sulle sponde e siamo costretti a fare il campo sotto una piccola falesia. Scendo nel fango e vedo cocci, mattoni, frammenti che mi sembrano romani. Sono romani.

È una spiaggia di cocci. Alcuni bellissimi. Ancora si vedono i mattoni con i segni delle dita, il vasellame tirato, i mattoni rotondi. Stesso fango. Stessa argilla.

Poi vedo un pilastro di roccia crollato con sotto opus incertum, quel misto di pozzolana e rocce che usavano i romani per riempire i muri o fare fondazioni. E opus mixtum. Poi delle rocce che sembravano far parte di in molo. Il fiume qui è profondo fino a riva e perfetto per costruire un porto. Sopra Nicola e Tommaso scoprono il forte con annesso piccolo museo.

Fuoco, zanzare a manetta, fango. Cena frugale. A letto presto e tramonto galattico. Al mattino belle foto di Anna dall’alto del forte e via. Partiamo alle 6. Si susseguono paesaggi da favola. Le falesie continuano, la croce lipovana, le barche lipovane, le chiese lipovane. E i lipovani? Russi, vichinghi, sulla via dell’ambra cacciati 300 anni fa dallo zar si rifugiarono qui. Almeno c’era da vivere.

Sono diversi. Forti, squadrati molti con gli occhi azzurrissimi. Le barche sono nere, vichinghe, lampantemente vichinghe a doppia poppa. E ancora oggi remano. Nel senso che non hanno proprio il motore. Che piacere vederli remare veloci come e più di me. Mi fermo a conoscerne una. È magnifica. Linee filanti. Nera di pece vera.

Vi ricordate il paese di Calafat sul Danubio? Ancora oggi si dice calafatare il fasciame. Gli scalmi sono solo un pezzo di legno. Perfette. Pescano poco e portano molto. Fasciame classico, non sovrapposto come usavano i vichinghi. Strano. Scopro che ancora esiste un maestro d’ascia a Braila. Lo cercherò invano.

Via ancora a vela. Ci fermiamo a mangiare qualcosa a Harshova o Hirshova. Chiesa che sembra una zuccheriera spagnola del 600. Tutta dorata. Al pontile incontriamo Adriano che pesca: parla italiano, è un giovane simpatico. Ci dice di lasciare la barca senza problemi.

Che rocce qui! Calcare. Sembra Croazia. In una città rovente veniamo avvicinati da due simpatiche canaglie di 10 e 12 anni. Pestiferi. Ma gli parlo e il più vecchio si arrampica su un albero e mi porta giù albicocche dolci. Poco prima un signore passandogli vicino gli tira un ceffone senza apparente motivo. La vita a questi non gli viene facile. Penso che a casa le cose non filino bene. Scalzo e magro. Forte e già adulto. Intelligente. Visto come tira qui, o scappa subito o lo mettono dentro appena cresce.

Gli compro una pizza. Sono felici poi ne combinano un po’ e vanno via salutandomi. Il più grande getta il cartone della pizza per strada. E la bottiglia dentro la farmacia. Una strada che non lo vuole ed una farmacia che forse non vuole curarlo. Zigano, gypsy, zingaro. Gli stanziali non li vogliono: nomadi e stanziali. Non sempre fila liscio.

Io sono un po’ zingaro e la gente mi guarda male a volte. Puzzo. Sono sporco. Ho le scarpe bucate. Ma si vede che non sono uno zingaro vero. E mi va bene. Ho avuto fortuna. Casi della vita.

La pizza è buona anche per noi. Tommaso vuole vedere la partita, e proviamo a cercare un amico di amico, Vasile Antip, che lavora a Torino, ha navigato lungo il Danubio ed il Mar Nero e mi ha scritto mail piene di aiuto e consigli. Chiamo “Midica” Karpov che abita, scopro, a poca distanza da qui. Subito si fa in quattro per aiutarci. Ci offre di vedere la partita a casa sua. Abita a Braila ma lavora nell’isola grande, parco naturale, dove pianta alberi e fa il ranger. Andiamo. Grande Vasile e grande Midica.

Mancano 25 km e li divoriamo a fatica, un po’ contro vento e poi nella piatta del ramo secondario del Danubio. Un paradiso. Cavalli selvatici, maiali, cicogne, aironi e pesce. E case con tetto di fascine. A 3 km da Midica che ci aspetta si alza un bel vento sostenuto, contrario. Al timone mettiamo Nicola: non ha mai portato una barca da solo, normale che sia inesperto. Errore mio. Clodia è in virata, si ferma. No buono. Siamo senza difese. Vedo la raffica arrivare. Sola, isolata, strana. Gli inglesi dicono:”Shit happens”. Dico solo: siamo troppo invelati. Ma non c’è più tempo. So già che andiamo giù.

Tommaso si butta da velista esperto sopravvento con tutto se stesso. Io piu lentamente. E lui ci salva da una scuffia completa. Libero al volo la scotta randa ma non basta. Clodia si inclina quel tanto che basta per far entrare un metro cubo o due d’acqua tiepida. Be water dico sempre. Adesso lo siamo davvero. Clodia è piena fino a 5 cm dalla falca. Tutto è sott’acqua. Tutto!

Subito faccio scendere Tommaso su Serena, che Leon porta vicino, e con Nicola alla pompa di sentina (provvidenziale, grazie ad Emilio di Chioggia) iniziamo a sgottare. Io uso un secchio. Sempre gli inglesi, grandi navigatori, dicono che non esiste pompa migliore di un uomo che teme di colare a picco con un secchio in mano. Clodia non cola a picco perché è di legno ma andare sotto vorrebbe dire perdere cose e trovarsi con barca quasi ingovernabile. In 10 minuti la barca è quasi vuota.

Riprendo a remare e da Midica ci attendono. Carico tutto il bagnato sul pick-up e via in un ambiente che non ricordavo. Calessi, donne con velo, tante piccole dacie con giardino. Canapa libera, che la gente non fuma ma tesse, e vacche, oche, capre, tanta frutta e semplice vita di sussistenza. Arcadia felix?

Midica ci offre una cena di spaghetti, che andiamo a comprare in un negozio di 100 anni fa con tutto. In 20 metri quadri. Persone serie e serene. Nicola cucina. La cena è meravigliosa: formaggio fresco, latte caldo appena munto, pomodori. Ho steso tutto sotto un ciliegio e sulle viti di tre anni. Tutto è fradicio, anche il sacco a pelo. Mitica mi offre una roulotte. Più che dormire muoio: 55 km e lo sgottamento rapido mi hanno esaurito.

Alle 6 si parte dopo un caffe caldo offertoci da mani amiche e gentili. Nicola e Tommaso vanno con Midica verso Braila ed io stendo i panni ancora bagnati su Clodia e riparto. Faccio ridere. Qui si capisce l’utilità di una barca con due alberi!


Dopo 40 km incontro due giovani kayakers: Norman e Nina. Amici di Andy, Thomas ed Elly.

Pagaiamo fino a Braila e dopo 57 km ritrovo Midica che ci ha trovato pure un ormeggio gratis. Alla Baza Nautica di Braila non paghiamo e sono gentili. Cena veloce e sonno assoluto. Che giornate!

Braila è molto, molto, molto bella. Era il più grande porto commerciale fluviale di Romania. Anche qui come a Dobreta Turnu Severin mercanti da tutto il mondo si arricchirono. E fecero costruite case alla moda italiana, parigina eclettica: Art Noveau, Chippendale e altro ancora. Il teatro dedicato a Maria Filotti è splendido. Il Rally, altro teatro, la filarmonica Lira. Una piccola Parigi sul Danubio.


Le pietre delle pavimentazioni parlano di soldi. Granito degli Urali, porfido, basalto, granito rosa. Costava un occhio della testa. Vedo serrande costruite a Munchen, il palazzo delle Generali, 1892, un acquedotto-ristorante da urlo. Poi a casa di Octavia e sua sorella troviamo una sorpresa splendida: le catacombe turche. Fa un freddo cane lì sotto.

Octavia è un’artista geniale, come suo padre che aveva 40 operai nella sua officina con torni e frese che farebbero svenire gli appassionati.

Ora vorrebbero aprire un B&B e sara un successo. Un luogo magico.

Conosco anche Rado Masei, il direttore del grande parco dell’isola grande di Braila. 60 per 25 km, 85.000 ettari. C’e anche la casa di Ceausescu che non riuscì a viverci perche lo amazzarono. Ci vissero per anni Midica e la moglie, lipovana anch’essa, che ci offre un bella cena.

E ci racconta delle vittime in quel 1989. E del silenzio. E delle parole ad alta (troppo) voce di oggi. Di un mondo che è cambiato troppo in fretta e qualcuno non si ritrova. Io nemmeno, anche se ci sono nato.

Che amici grandi. Che cuore!


Ah, dimenticavo, conosco pure un padre ortodosso lipovano, simpaticissimo che mi regala una croce magica e delle foto di una icona del santo Giovanni, icona in creta che pianse mirra nel 2009. Faccio alcune considerazioni sulla chiesa ricca, e lui comprende. Cosa farebbe Cristo delle chiese ricche se tornasse ora? Le venderebbe ai ricchi? Le regalerebbe ai poveri? Bombarolo? Indignado? In Vaticano che farebbe? Lui apre le braccia.

Per me la mia chiesa è la natura. È si ricca, ma come dire… è un po’ diverso. L’oro sta sottoterra, nascosto. La bellezza vera ama nascondersi.

“Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.”

Sapete chi lo ha scritto, non serve attribuzione vero??

Be water my Friends, be water.
Non troppo.

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3 Responses to “I casi della vita”

  1. bea scrive:

    Grazie Giac per questo bell’articolo! E grazie Anna per le foto bellissime. Spero che tutto scritto sia un libro su questo viaggio!
    Un avventura di vita!
    Un abbraccio!

  2. maurizio vallebona scrive:

    spero anche io vivamente che tutte queste esperienze trovino un loro ‘sbocco’ naturale in una iniziativa sull’acqua.
    dopo avere visto cosi tante cose in giro, sicuramente le idee non mancheranno……e tutto sommato c’è un grande bisogno di ripensare il turismo , e i luoghi in cui viviamo , e che non conosciamo , in un modo diverso e nuovo.

  3. Giacomo scrive:

    Grazie Bea e Maurizio,

    certo che il mio proposito è di scrivere un libro. E le iniziative sull’acqua non mancheranno. Già ci sto lavorando con tanti amici di tante parti del mondo.
    E spero anche voi due che siete i miei più fedeli lettori.

    Un abbraccio

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