L’io del vagabondo

In ogni viaggio come in ogni vita esiste un luogo nel quale ci si ferma piu a lungo del previsto, del voluto. Piacevole o meno.

Sozopol mi ha tenuto per 20 giorni. E se fosse stato per me ci sarei rimasto ancora: sono stato felice. A Sozopol c’è qualcosa di magico, in quel promontorio roccioso.

A parte tutti gli incontri piacevoli ed interessanti avvenuti durante il festival mi sono trovato ad affrontare una serie di depressioni veloci ma potenti che creavano un’onda potenzialmente pericolosa per Clodia che non è costruita per affrontare mare grosso. Le pause tra le due perturbazioni non erano sufficienti a calmare il moto ondoso e quindi non potevo partire.

Nel frattempo il tempo scorreva. Ad Istanbul mi aspettavano ed io che in fondo ero arrivato sul Mar Nero a luglio, mi sentivo un po’ male per non aver approfittato dei due mesi migliori per navigare. La responsabilità non era solo mia in quanto mi è stato gentilmente richiesto di attendere settembre per motivi di visibilità mediatica ed essendo il mio un progetto di comunicazione è chiaro che la scelta era dovuta.

L’attesa, l’arte della attesa sta diventando un’arte che frequento assai. E nella quale cerco di migliorarmi.

E dalla Lago Art Waiting Room, dove abbiamo fisicamente costruito la barca all’arte della attesa di Sozopol, a parte qualche esperienza, qualche colpo di vento, e qualche miglio o km, non è trascorso poi molto tempo. O no!?

Attesa. Attiva e costruttiva. La noia non mi ricordo più cosa è. In ogni minuto le cose accadono e c’è da fare. Da vedere da imparare. Triste osservo le persone che sembrano annoiarsi. A volte quasi le invidio.

Vedo il ragazzo inchiodato alla sua sedia di Sozopol che da mattina a sera fuma e beve birra. Son venti giorni che lo vedo quasi tutti i giorni e non vedo cambiamenti. Forse gli piace, per forza gli piace. Chissà quali mondi sta esplorando? Avrà vent’anni. E non è il solo. In fondo tutta la vita attendiamo. Per quello conviene metterci un po’ d’arte in questa lunga attesa.

Un giorno arrivo alla barca, che ho spostato nella parte dei pescatori (non volevo abusare della ospitalità del Marina di Sozopol) e un omone vedo che parla con altre persone e si presenta poi a me. È Nikolay. Mi stringe la mano con forza e quasi me la stritola e dice “che bella stretta di mano forte che hai”. “Anche tu”, rispondo. E da li inizia una amicizia profonda che per i prossimi giorni mi porterà a passare molto tempo con lui.

Nikolay ha qualche anno meno di me, una figlia ed un figlio. Ha passato tredici anni in Italia. Dai primi giorni sotto il ponte a Pavia, a rompere il ghiaccio per lavarsi la faccia, agli ultimi, dopo tanto lavoro la possibilità di tornare in questo paradiso e costruire qualcosa di bello. Anni duri, costellati anche da incontri poco piacevoli. Ma Nikolay è fatto di pietra, ed è un uomo di grande sensibilità ed intelligenza. Rara direi.

I racconti di suo padre pescatore, come suo nonno, giorni di mani che non conoscevano leve di comando o bottoni ma solo impugnature di remi di frassino e cime ruvide di canapa. E tanto pesce. Tanto che tutta Sozopol “profumava” quando le Alamane e le Mahune tornavano.

E il pesce si essiccava. Migliaia di palamiti e sgombri appesi a strutture lignee che ricordano quelle del grande nord. Un’altra tessera che si aggiunge al disegno sempre più evidente delle migrazioni degli uomini del nord verso sud in epoche remote.  Ancora oggi ho visto qualche sporadica essiccazione del pesce.

Nikolay mi porta spesso, anzi, sono io che ci vado nella sua pizzeria-bar dove mangio la migliore pizza di Sozopol. Il pizzaiolo, altro Nikolay, è molto bravo. La vita non è facile a Sozopol e le invidie, i dispetti e anche le ferite non mancano. I soldi hanno portato questo. Nikolay mi mostra gli orrori dei nuovi palazzi, mi racconta di concessioni illegali, scarichi che ancora oggi finiscono in rada, dove tutti fanno il bagno; e poi corruzione, commercio selvaggio, ottusità. Le rovine millenarie coperte da palazzotti senza storia. Si uccide la gallina per l’uovo. Quante volte l’ho già visto?

Poi tanti altri racconti. Un incontro poi mi piace molto, con Stoicio, il proprietario del Barracuda, il migliore ristorante di Sozopol. Partito da quattro tavoli qualche anno fa, ha ora costruito un locale per 300 coperti. Con nave greca costruita all’interno e molti reperti che il mare ha restituito. E foto del passato. Ci invita a pranzo e cena. La cena è allietata da molti numeri. Danzatori, cantanti musicisti. Una balcanicità fantastica. Si sanno divertire qui! Le donne sono bellissime.

Tutti i musi duri si sciolgono con qualche nota e qualche bicchiere di rakia. Naturalmente mi dedicano la solita, forse la più suonata (dopo “volare” e “o sole mio”) Sono un italiano di Toto Cutugno. Mi trovo, spogliato delle mie congenite timidezze, a cantarla. Non sapevo di conoscerla quasi a memoria. Mi diverto. Generosità da sette stelle. E cibo da dieci. Coltivato in casa praticamente.

Nel pomeriggio conosco la mamma. E comprendo molte cose dal suo sguardo, da una storia di passione lavoro ed attenzione che ha portato al successo.

Torno in barca. Le notti iniziano ad essere più fresche. Dormo con il maglione. Alcune sono molto ventose, cattive. Conosco Sarah e Martin. Lei bella, maestra di Yoga, lui dolce e gentile, disponibile subito ad aiutarmi. Lui ha venduto la sua attività di interior designer in Uk e ha deciso di ricominciare da capo qui. Tempo, lentezza e bellezza. Ora Martin dipinge acquerelli, soprattutto di barche e marine. Cene, incontri interessanti con personaggi ricchi di vita, mai banali. Sozopol: una matrioska infinita pur se così piccola. E il tempo non migliora. Non piove quasi mai ma il mare non è per Clodia.

Un giorno partiamo con Carina: arriviamo a Tsarevo, al confine con Turchia, a 20 miglia nautiche da Sozopol ma con vento da sud fino a 25 nodi e più. Saulius decide di tornare.

E passano altri sette giorni. Visito il ricchissimo museo archeologico con Nikolay. Vedo il reliquiario di San Giovanni Battista. Poi passeggiate, tanti racconti del passato e incontri. Lavoretti su Clodia.

Arriva Bruno Cianci, amico e addetto alla stampa internazionale del museo Koç di Istanbul, dove sono atteso. Bruno è anche velista e armatore di un cutter aurico del 1910 di nome Vilia. Si scatena l’inferno: pioggia, vento e onde. In breve, decido di non partire. Sono quasi depresso, sento di scontentar tutti: Saulius, Bruno il museo, Paolo che arriva ad Istanbul apposta. Ma io conosco Clodia e non posso permettermi di perderla. Non sarebbe giusto. Devo saper rinunciare ed assumermi le responsabilità di questa decisione. Io temo il mare. Specialmente su una barca aperta e senza chiglia. Basta una raffica, un’onda mal presa e fine della storia.

Bruno attende ancora un giorno. Visitiamo Burgas, tutta Sozopol e poi torna. Vedo la sua delusione. Ma so che mi comprende da buon uomo di mare.

Ma l’arte dell’attesa porta i suoi frutti. A volte il destino ci sorprende. Già mi preparavo a chiedere aiuto a Marty e Art a bordo di Sherpa, nel caso che Saulius e Ruta decidessero di non procedere oltre e fermarsi a Sozopol per l’inverno.

Un bel giorno a colazione su Carina, il Pilot cutter di Saulius e Ruta, raccontavo di qualcosa di particolarmente bello e commovente che mi era successo. Ruta, che solitamente non ama troppo viaggiare nel vento duro, allarga i suoi occhioni azzurri e dice “andiamo”. Saulius la guarda stupito e dice “andiamo”. Io guardo i due terrorizzato e dico “andiamo”. Appena prima avevamo ricevuto l’avviso di “Near Gale”, quasi tempesta. Venti a 30 nodi e passa e onde di 3 metri. Ma qualcosa mi dice di ascoltare i due pazzi meravigliosi amici Lituani.

La notte dalla quale ero reduce mi aveva bastonato già abbastanza in porto. Cosa mi sarebbe aspettato in mare aperto? Via a salutare gli amici e in un’ora siamo pronti a salpare. Non provo nemmeno ad uscire da solo e subito preparo Clodia per il traino. Usciamo a vela dal porto con vento di bolina larga. Tutto a vela. Si molla la boa e via. Ciao Sozopol.

Fuori pesta bene ma è il vento è da Nord Est: si vola a 7/8 nodi. Clodia plana. Uscita a Tsarevo, breve cena e via. La notte è veloce. Faccio il mio turno di guardia tra l’una e trenta e le quattro e trenta. Si balla parecchio ma si fanno miglia. Mi risveglio e già è Turchia. Costa alta, nessun disastro ambientale come si vedeva a nord. La costa è pulita. Alberi e rocce. Il vento molla. Poi riprende.

Alle 16 si vede il faro del Bosforo. Un nodo in gola. Piango più volte. Vado a prua. Non mi sembra vero. Così tanto è passato sotto la chiglia di Clodia. Un pettirosso si appoggia sul timone di Clodia. Si riposa. Terra.

Le onde si fanno lunghe, il faro bianco si avvicina, il vento cala. Le onde rimangono sui due metri. Molte navi all’ancora. Pescherecci. Entriamo e io non so più chi sono, cosa faccio e dove sono. Non è possibile. Sono qui. E sono io.

Abbraccio Rita e Saulius. Esiste l’io del moribondo. E pure del vagabondo. Rivedo tutto il viaggio in pochi decimi di secondo. Solo io so veramente quello che è stato. Vita intensa. E densa.

Entriamo nella baia dorata di Poyraz. Siamo in Asia. Profumo intensissimo di resina. Un altro mondo. Ormeggiamo. Cena, stanchezza infinita e felicità infinita. 105 miglia in 26 ore. Ma le ore e le miglia non contano. Vediamo Istanbul da 24 ore, almeno la luce nel cielo. Appena il tempo di montare per la millesima volta la tenda e entro in un sogno freddo. Sono felice. Sono nel Bosforo e vivo: il Mar nero mi ha lasciato passare. Grazie a Saulius e Ruta.

Grazie a tutti.

Oggi è il 22 settembre. Domani è il mio 47° compleanno. Il più bel giorno della mia vita.

Sono nato due volte. E presto Bisanzio.

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8 Responses to “L’io del vagabondo”

  1. maurizio vallebona scrive:

    “vita intensa e densa”
    che desiderare di più ?

  2. Gianleo scrive:

    Che bel racconto, da leggere piano; qui la vita corre ancora veloce… complimenti.

  3. Giacomo scrive:

    Vero Maurizio,
    condividerla forse.

    Un abbraccio

  4. maurizio vallebona scrive:

    forse… con qualcuno , ma non sempre con tutti.
    con una donna ? forse.

  5. Mariobios scrive:

    Per chi è sopravissuto,credo solo 2 persone meritano la condivisione:Te stesso ed uno sconosciuto.
    Mario.

  6. Maurizio scrive:

    Ben arrivato ad Istambul Giacomo !
    Goditi il tuo nodo in gola e l’intensità dell’ io del vagabondo.
    Forse l’ho già detto.
    forse mi ripeto, ma questo viaggio a suo modo è un capolavoro.
    Un capolavoro per le emozioni che genera, il coinvolgimento che suscita, i valori che veicola.
    Il senso profondo di questo Viaggiare resterà nel tempo, e cristallizzando porterà frutti inattesi ed inimmaginabili.
    Quando il corpo, lo spirito e la mente umana cospirano così profondamente insieme, generano cose che giustamente definiamo “Arte”.
    L’arte non stanca mai, ti attrae e ti smuove dentro, ti invita a fare altrettanto, a metterci il cuore, a tirare fuori il meglio.
    Hai ragione quando parli di condivisione, senza questa l’arte con cui condiamo i nostri sogni, i nostri progetti il nostro quotidiano, si perde inutilmente, e quasi non ce ne accorgiamo.

    Non ci conosciamo Giacomo, ma sento di doverti dire grazie.

    Grazie a nome mio, dei miei figli, del pianeta che ci ospita.
    Grazie anche a nome di quel ragazzo di Sozopol che, inchiodato alla sua sedia, attende di ricevere la giusta scossa per mettersi in cammino.
    Prima o poi la riceverà.
    Siamo tutti un po’ in attesa; ciascuno nascosto dietro al proprio alibi inattaccabile.
    Che l’energia e l’esempio ricevuti in questi anni, sorseggiando il tuo blog, possano rimbalzare attraverso di me e contagiare virtuosamente altri spiriti in attesa.
    Io ci credo.
    Buon viaggio
    mau

  7. mariobios scrive:

    Questa volta i complimenti ed un abbraccio per comunione di amorosi sensi vorrei farlo a Maurizio.

  8. giacomo scrive:

    Murizio, grazie per quello che dici. E’ talmente bello, vero, bello che mi imbarazza quasi. Mi commuove.
    Io ringrazio te e se ho dato qualcosa sono felice dentro. Immensamente.

    Spero che ci si incontri davvero.
    Basta che mi diciate dove e io prima o poi arrivo.

    Se possibile lentamente

    Un abbraccio

    Abbraccio e ringrazio anche Gianleo, l’altro Maurizio e naturalmente Mario.

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