Ieri sera Giacomo ha completato la sua avventura raggiungendo Istanbul.
E’ ora ospite del Koç Museum, nel Corno d’Oro.
Il Mar Nero. Ora ci sono dentro. Percorse 230 miglia nautiche, che sono più o meno 420 km. Ero abbastanza spaventato, questo mare è Nero più ancora della realtà: le onde, le tempeste improvvise, il traffico.
Sono a Sozopol, un castello di legno e pietre su una baia che protegge da secoli i naviganti. Il porto più sicuro del Ponto Eusino. Ma perché si chiama Mar Nero?
“Merito” dei turchi che che lo definivano così in contrapposizione al Mar Bianco, il Mediterraneo. L’Egeo in effetti è molte volte bianco di schiuma e di cavalloni. Ma perché Nero? Non trovo ancora una spiegazione accettabile. Il suo colore è il blu.*
L’acqua, da Costanza in giù è trasparente. Qui a Sozopol si vede giù per almeno 4 metri. Più a sud ancora di più.
Allora perché? Il nero credo io sta nelle teste degli uomini che adorano terrorizzare il prossimo. Come tanti navigatori sanno bene, il tratto di mare più pericoloso è sempre quello dove ci si trova. E i locali raccontano che sì, hai passato il Northern Forland (il tallone della Gran Bretagna, 7000 relitti in poche miglia), la Manica, con le sue correnti, ma è nulla in confronto alle coste di qui… (continua…)
Me ne sto seduto a scrivere, su questo bel divano, in questo bel Cafe Mozaic, che sa di passato anche se in moderno edificio, con questo sax soprano che danza agile tra culture diverse, ed il muezzin che cantilla dal minareto (si dice cantillare, non è errore): vedo fuori la pesante mole del museo archeologico, case cubane in rovina ma abitate, sepolcri romani vuoti, steli funerarie, antiquari in attesa appesi ai loro bronzi, cani randagi dolci ed educati. Il vento soffia forte. E Ovidio che guarda nostalgico il mare. Davanti gli hanno costruito una pizzeria della catena Spizzico. Potrei anche morire qui, ora, per la bellezza imperfettamente perfetta.
Sono a Costanza e mi ha già preso il cuore. Quanti cuori dovrei avere per sostenere questo viaggio? Se penso alla noia ed alle lamentele imbronciate di tanti compagni di viaggio mi domando come sia possibile non innamorarsi sempre di questo mondo che cambia. E sorridere.
Sarà l’ignoranza? L’ignoranza a me sembra una bestia strana. Si aggrappa alla schiena come una gatta e non ti molla più. (continua…)
Dopo i giorni di Braila è ora di partire. Al mattino sono distrutto. Caldo soffocante, 40 e passa gradi, zanzare a migliaia che mordono sempre, pescatori che iniziano alle 4 di mattina con i loro fuoribordo rumorosi, gente che grida, e onde. Dormire nelle città è sempre difficile. Anche lo stomaco non sta bene.
Ricevo un messaggio che dice che devo essere stasera a Tulcea. Sono 101 km!! Con vento forte a favore potrebbe anche essere possibile ma ora con questo vento da sud che mi rallenta e il mio corpo che non risponde è impossibile. Ci provo.
Dopo 3 km, a pezzi, mi ferma pure la polizia per un controllo. Gentili e professionali. Nessun problema e saluti. Decido che l’unico modo per rispettare l’appuntamento è farmi trainare da Serena. Non mi piace ma non ho scelta e la signora Viorica, la governatrice dell’Arbdd (Administratia Biosfera Delta Dunarii) viene apposta da Bucarest per concedermi una intervista.
Il viaggio a motore è facile ma noioso e rumoroso. Tutto è così banalizzato da questo meravigliosa protesi che brucia e produce movimento. Meravigliosa e pericolosa. Pigrizia in agguato. La velocità la cosa più sopravvalutata su questo pianeta. Comunque ringrazio il piccolo fuoribordo da 4 cv e dopo 11 ore ininterrotte siamo a Tulcea. (continua…)
Cernavoda: acqua nera. Già avamposto romano, poi tristemente famosa per il canale della morte, fino a Costanza. Uno dei tanti, fatto scavare da Ceausescu per risparmiare i 300 km di Danubio che sale a nord per poi deviare a sud est verso il Mar Nero. Cernavoda-Cernobyl stessa radice nera. Anche a Cernavoda c’è una centrale nucleare.
Con tutta questa energia ci mancava il nucleare?
Al bar bollente ci sono una cameriera pelosa e uomini che mostrano con orgoglio la pancia: un luogo talmente brutto da far quasi tenerezza. Solo i cani randagi portano un po’ di grazia in questo piazzale assolato e di cemento polveroso con tamarri che accelerano e frenano rumorosamente. Dei gusti non conviene discutere. Io ho i miei e loro i loro. Non li giudico ma questo posto mi fa davvero cagare.
Spero solo di andarmene al più presto. E pensare che un gentile signore ci indica dove ormeggiare, e un altrettanto gentile signore, Rado, un vichingo che ha scelto questo non-luogo per vivere su una chiatta, ci concede di ormeggiare la barca.
Ma che ci faccio io qui? Primo c’è qui sotto il Danubio e qui ci sono arrivato tra colpi di remi, vento e per ultimo il passaggio dal capitano Florian. A proposito ho, abbiamo fatto 4200 km da Wargrave, nell’aprile 2010. (continua…)
Dopo una notte animata da teppistelli che gettavano pietre alle barche e si muovevano sospetti, ci mettiamo in movimento per una passeggiata mattutina a Kladovo. Scopro un museo archeologico piccolo ma ricco di pietre importanti che raccontano la strada Traianea che qui, tra Kladovo e Dobreta, vide il più lungo ponte della storia per molto molto tempo, costruito nientepopodimeno che da Apollodoro di Damasco uno dei primi archistar della storia. Chissà se i nostri archistar rimarranno a brillare nella storia fulgidi come lui.
Alla polizia si va via lisci grazie a Miletin che conosce tutti. Lo abbraccio e via nella Dunav che dopo poche decine di metri, voilà, diventa Dunarea. Siamo in Romania. Entriamo a Dobreta Turnu Severn, tre nomi per un luogo solo.
Espletiamo formalità come se entrassimo in altro paese extracomunitario ma ci dicono cortesissimi poliziotti che è perché proveniamo dalla fuori UE. Uno di questi giorni morirò per un eccesso di risa (come diceva Bernard Motessier, anche lui allergico ai confini degli uomini).
Costel, un tipo simpatico che si occupa delle grandi navi che attraccano, ci fa stare all’ormeggio della sua chiatta galleggiante. Si rivelerà vitale. Con Mario, giovane e gentilissimo poliziotto, andiamo insieme in centro. E mangiamo una pizza italorumena al Cafe Barcelona, alla faccia del cibo locale che cerco di mangiare. Adoro la pizza. Vivrei di sola pizza.
Mario mi racconta della vita di qui. Lui ha lavorato ad Orvieto ed è tornato. Si guadagna meno ma si sta meglio qui. Vorrei dormire ma si rannuvola. Viene giù una tempesta coi fiocchi. La sento e mi rifugio sulla chiatta. Costel mi vede e mi invita ad entrare. Mi metto a dormire su un divano e dopo pochissimo, con raffiche che di sicuro arrivano a 40 nodi, onde e fulmini full screen, arrivano dentro anche Anna e Leon.